Il pay-off di Satispay recita: «do it smart», ossia semplificare i pagamenti per migliorare la vita delle persone. Fondazione Near Onlus ha incontrato Alberto Dalmasso, fondatore e CEO della società, per capire come è arrivato a creare quello che oggi è uno dei più importanti attori nel settore dei pagamenti online.

Come è nata la scintilla che le ha permesso di creare Satispay?

«Dalla sintonia forte con Dario Brignone e Samuele Pinta (co-founder), unito al fatto che il progetto Satispay mi sembrava sufficientemente ambizioso. Era chiaro che c’era la possibilità di cavalcare un macro-trend enorme, scrivendo un pezzo della storia della scomparsa del contante».

Avete fatto qualche analisi di mercato, o siete partiti indipendentemente dallo stato dell’arte?

«L’analisi dell’offerta di mercato è importante, ma l’analisi della domanda ancor di più. Ero stufo di non poter usare la carta di credito ovunque. Gli strumenti di pagamento esistenti allora, erano legati ad attori tradizionali e mancava quindi l’effetto WhatsApp (invitare tutti ad usarlo). È così che l’efficienza e l’accessibilità, mancati in tanti altri progetti, erano diventati conditio sine qua non per il nostro».

Come ha fatto a reclutare le prime persone? 

«All’inizio molto passaparola tra amici e conoscenti. Devi parlare della tua idea e vedere la reazione delle persone. In seguito abbiamo imparato molte cose. Sai, è meglio diventare amico di un tuo collega, che collega di un tuo amico, perché sono molte di più le sfide che affronti con un collega, rispetto a quelle che affronti con un tuo amico».

Quando ho qualche idea ho paura a parlarne, perché penso che qualcuno possa rubarmela…

«Se è un progetto così facile da rubare, mi chiedo perché qualcuno non l’abbia già sviluppato! Comunque l’idea non conta niente, è l’esecuzione che conta».

Fonte illustrazione: contocorrenteonline.it
Fonte illustrazione: contocorrenteonline.it

Quando ha capito di avercela fatta? 

«Siamo ben lontani dall’avercela fatta. Certo, mi ricordo la prima sera che abbiamo lanciato i pagamenti in store e abbiamo fatto una festa in un bar con un centinaio di ragazzi che pagavano solo con Satispay. O quando Esselunga ha attivato il nostro servizio. Oppure, quando importanti investitori hanno creduto nel nostro progetto».

Di quanto ha sbagliato le sue stime iniziali?

«Negli USA si dice che sovrastimi quello che puoi fare in cinque anni e sottostimi quello che puoi fare in dieci. Qui abbiamo sovrastimato quello che potevamo fare in sette anni, ma sottostimato quello che avremmo potuto fare in quindici anni».

Un’idea come Satispay necessita di una massa critica per partire. Come avete fatto a diffondere il servizio?

«Porta a porta. Gli utenti vedevano gli stampini degli esercenti e si creava il passaparola. Abbiamo iniziato con singole aree geografiche come Cuneo, Torino e Ravenna, in seguito Milano, Roma e così via».

Se tornasse indietro c’è qualcosa che cambierebbe di quanto avete fatto?

«Gestirei meglio i rapporti con un paio di persone. La cosa migliore è sempre essere superiori alla rabbia del momento: essere gentili e gestire le cose nel modo più umano possibile».