Economia sociale, solidale, circolare. Finanza etica, verde o sostenibile. Perché dobbiamo utilizzare tutti questi aggettivi per qualificare un certo tipo di economia e finanza? Non basterebbe parlare di economia e finanza tout court? È la domanda da cui siamo partiti giovedì 2 giugno al Festival Internazionale dell’Economia di Torino, dove abbiamo partecipato, all’interno della compagine di Torino Social Impact, al panel dal titolo La finanza che fa bene all’economia sociale insieme ad Andrea Limone, presidente di Permicro e a Davide Dal Maso di Avanzi, referente del progetto della Borsa sociale promossa da Torino Social Impact.
Noi di Mercato Circolare siamo stati chiamati a rappresentare l’universo delle imprese sociali e delle start up innovative a vocazione sociale che alimentano l’ecosistema di Torino Social Impact. Imprese che nascono per ri-occupare lo spazio economico in modo diverso: non per massimizzare il proprio profitto, ma per concorrere alla generazione della felicità pubblica, assumendo fino in fondo il concetto di limite in modo generativo. All’interno di questo universo, Mercato Circolare è intervenuta in rappresentanza delle realtà socie e clienti di Banca Etica, il cui articolo 5 dello statuto (che a sua volta si rifà ai principi della finanza etica) postula la necessità di considerare le conseguenze non economiche dell’agire economico.
Il nostro contributo si è focalizzato sul ruolo che l’economia circolare può avere nel contribuire a un cambio di paradigma. Per prima cosa siamo partiti da una domanda, quella con cui si apre questo articolo, per offrire due sottolineature: Non basta parlare di economia e finanza?
Evidentemente no, perché quando parliamo di economia immediatamente pensiamo a un’economia dove il protagonista è l’homo oeconomicus, soggetto adulto e maschio, che punta a massimizzare il proprio benessere, e le imprese sono soggetti economici il cui obiettivo è la massimizzazione del profitto. Quando parliamo di finanza, allora, l’unica metrica possibile è quella economica e monetaria. Ed è normale che sia così, è la realtà in cui viviamo. Oppure no? E se questa fosse solamente una delle possibili narrazioni dell’economia e della finanza e, di conseguenza, della società? Una visione parziale assunta a unica descrizione possibile del reale.
Ed ecco la prima sottolineatura: non esistono l’economia e la finanza come scienze naturali e immutabili, ma piuttosto il pensiero economico di uomini e (purtroppo ancora poche) donne che sono figli e figlie del loro tempo. Qual è il pensiero che abbiamo sul mondo? Sugli essere umani e sui viventi? E sulle relazioni tra questi? È a partire dalle visioni, immagini e parole che usiamo che discende una narrazione economica piuttosto che un’altra.
E veniamo alla seconda sottolineatura. Aggiungere l’aggettivo circolare accanto alla parola economia, ci fa intuire che esiste anche un’economia che circolare non è. Quella lineare in cui siamo immersi, che considera la Terra come una riserva infinita di risorse che possono essere utilizzate a piacimento, contaminate, trasformate in beni e abbandonate come rifiuti inutili. È l’economia del cow boy e del far west a cui l’economista americano Kennet Boulding, nel 1966, contrapponeva l’economia dell’astronauta, per la quale la Terra in quanto sistema chiuso che scambia energia con l’esterno ma non materia, è da considerarsi alla stregua di una navicella spaziale: quello che si porta a bordo prima a poi finisce e i rifiuti prodotti si accumulano all’interno. Dunque possiamo definire l’economia circolare come quel paradigma economico che punta a mantenere il valore materico ed energetico dei beni e delle risorse il più a lungo possibile all’interno dei cicli produttivi, riducendo l’utilizzo di materia vergine e la produzione di rifiuti. Bene, ma questo descrive una dimensione puramente tecnica. E la dimensione politica? Qual è obiettivo di fondo? Qual è lo sguardo che abbiamo sul mondo?
A questo punto bisogna precisare che non esiste una definizione unica di economia circolare. Basti pensare che uno studio del 2017 ha analizzato ben 114 definizioni. La maggior parte di queste considera l’economia circolare come una strategia per valorizzare meglio la materia e l’energia dove l’obiettivo continua a essere è la crescita economica. Il problema della crescita infinita in un mondo chiuso e limitato non è tematizzato.
Si tratta di un’economia circolare tecnica, che continua a inserirsi nella narrazione main stream dell’economia lineare della crescita infinita.
C’è anche, però, un’economia circolare politica che può essere ben rappresentata dalla ciambella descritta dall’economista Kate Raworth in “L’economia della ciambella”. La ciambella raffigura due limiti ben chiari da non superare, quello esterno che corrisponde ai limiti planetari del nostro pianeta e quello interno che rappresenta il limite entro cui stare per condurre, tutti quanti una vita dignitosa. Lo spazio tra i due cerchi è quello in cui è possibile perseguire un benessere dinamico, equo, sicuro e duraturo per tutti i viventi.
Ecco dunque la nostra definizione di economia circolare. Una narrazione economica
- che elegge la natura come maestra (punta a chiudere i cicli, riconosce che tutto è connesso e che la vita è segnata dal limite);
- che elegge il pensiero sistemico quale strategia per progettare modelli di business in grado di usare meno risorse vergini, di preservare il valore della materia e dell’energia nel tempo, di prediligere l’uso al possesso e di generare valore dallo scarto;
- il cui fine è generare felicità pubblica, per la quale è necessario individuare e sperimentare nuovi e multidimensionali indicatori e metriche per valutare e valorizzare il benessere di tutti gli esseri viventi, presenti e futuri.