L’ingegnere direttore della sostenibilità della società italo-francese che sta costruendo la tratta internazionale Torino-Lione, racconta la sua esperienza professionale: «Gestione finanziaria e del personale attente e verificate, questo è anche Green Deal» E con Torino Social Impact? «Creiamo un hub di confronto sul territorio».
Manuela Rocca, classe 1982, ingegnere edile, laurea specialistica con lode al Politecnico di Torino nel 2007, è direttore Sviluppo sostenibile e sicurezza di Telt. Acrononimo di Tunnel Euralpin Lyon Turin, è la società italo-francese che sta costruendo la tratta internazionale della nuova linea ferroviaria Torino-Lione. Nel dibattito pubblico si è polarizzato il dibattito tra sì-Tav e no-Tav. Ma l’esperienza della manager torinese è utile per comprendere il percorso che l’ha portata, prima come libera professionista, quindi come funzionaria della Provincia di Torino e infine in Telt a occuparsi quotidianamente di “impatto sociale”. E in quella che, adesso, è la più grande infrastruttura europea in costruzione.
Ingegner Rocca, partiamo dall’inizio. Perché l’ingegneria edile?
Mi ha sempre interessato la trasversalità, cioè mettere insieme paesaggio, elementi strutturali e architettura. Una visione d’insieme, non parziale, multidisciplinare.
Poi è entrata in Provincia, prima che diventasse Città metropolitana.
Sono stati anni importanti per maturare la consapevolezza “sociale” del rapporto con il territorio. All’epoca si lavorava sul Piano regolatore Gregotti-Cagnardi approvato nel 1995 con tutte le questioni legate all’asse di corso Marche, un lavoro molto stimolante. In quel periodo ho anche iniziato a partecipare all’Osservatorio sulla Torino-Lione: una occasione per ragionare sul progetto “Smart Susa Valley”, il piano associato alle compensazioni dell’opera sul territorio, con tutte le potenzialità innescate per lo sviluppo della Valle di Susa.
Le polemiche italiane, anche veementi e mai sopite, in che modo l’hanno colpita?
Nel periodo in cui partecipavo all’Osservatorio Io sono stata coinvolta collateralmente, ma ho sempre seguito fin da allora con molta attenzione il dibattito, senza pregiudiziali ideologiche. Arrivata nel Telt nel 2015, ho partecipato alla costruzione di una società allora piccola, ma fin da subito binazionale e convinta della sostenibilità. In questo ha favorito molto l’interculturalismo e l’attenzione all’Europa, peraltro primo finanziatore dell’opera.
Ecco, ci spieghi: come interpreta la sostenibilità?
Seguendone i tre assi fondanti e assimilandoli nel nostro progetto. Ambientale, attraverso la capacità di valorizzare l’ambiente in quanto “elemento distintivo” del territorio, garantendo al contempo la tutela e il rinnovamento delle risorse naturali e del patrimonio. Economico: cioè la capacità di produrre e mantenere all’interno del territorio il massimo del valore aggiunto combinando efficacemente le risorse, per valorizzare la specificità dei prodotti e dei servizi territoriali. E sociale: questa è la sfida di operare per preservare la qualità della vita delle popolazioni che vivono nelle aree in cui sorgono i cantieri e garantire che tale condizione potrà essere migliorata in modo tangibile e su larga scala quando l’opera sarà realizzata.
Tutto questo sarà un bene per le generazioni future? Sarà utile?
Io sono assolutamente convinta di sì. Il 2021, oltretutto, è l’anno europeo della ferrovia, identificata dalla Commissione Ue come strumento imprescindibile per la transizione ecologica. Vogliamo davvero fare qualcosa per il pianeta? Ritengo che questo sia il contributo concreto che io, nel mio piccolo, posso dare.
Che cosa intende lei per impatto sociale?
Il termine “impatto” può e deve avere una accezione positiva. Perché sia così è necessario impostare tutto fin dall’inizio pensando, come si dice oggi, a un cambiamento di “paradigma”. Se a regime l’opera contribuirà a migliorare la vita dei cittadini, ritengo che possiamo innescare una leva positiva fin dalla sua costruzione. Penso anche al tema dell’occupazione: tra il 2024 e il 2027 avremo un picco dei lavori oltre mille addetti impegnati nei cantieri italiani, tra maestranze e professionisti in varie discipline. Sarebbe stato più semplice organizzare dei campi-base per gli alloggi e le mense. Invece queste persone potranno inserirsi con le loro eventuali famiglie nei Comuni del territorio, in una prospettiva di ricettività diffusa e integrazione sociale, attivando lavoro indotto sul posto, per esempio nella ristorazione dove per la durata del cantiere prevediamo 10 milioni di pasti.
La sostenibilità non è “limitata” all’ambiente, d’accordo. Ma perché?
Perché lo chiede l’Europa, con il Green Deal. Ma soprattutto perché sarebbe limitativo impostare la sostenibilità soltanto su quel fronte, per quanto importante. L’ambiente deve viaggiare in pari con la crescita economica e con l’attenzione al sociale, attorno a un’opera che dovrà durare almeno 150 anni. Esiste poi una sostenibilità altrettanto strategica che riguarda per esempio la finanza: che dobbiamo gestire al meglio, con costi certificati e controllati. Deriva da una responsabilità civica che abbiamo nell’utilizzare risorse pubbliche.
Già. In Italia non siamo proprio integerrimi su questo fronte. Tangentopoli sembra non avere insegnato nulla. Anzi…
Può essere vero, però su questo fronte siamo riusciti a dotarci di strumenti ad hoc, unici in Europa, che prevedono rigorosi controlli antimafia sul lato sia italiano sia francese. E questo, a mio modo di vedere, è un buon impatto. Parigi ha accettato di vedere un po’ “ridotta” la propria sovranità a vantaggio di un meccanismo binazionale che tutela l’intera opera transfrontaliera, meccanismo ratificato dai Parlamenti e diventato legge sovraordinata in entrambi i Paesi. Questo è un passaggio che spesso si dimentica e che invece assume una importanza enorme nella social e impact economy.
Alla stessa stregua si può parlare di sostenibilità con la gestione del personale.
Assolutamente sì. Il focus sul capitale umano è sempre molto attento. Per esempio, nel campo della sicurezza e nella qualità della vita. C’è il tema dell’antinfortunistica nei cantieri, ovviamente, ma anche del benessere sul posto di lavoro. In questo primo anno di pandemia abbiamo adottato tutte le misure necessarie, con lo smart working per proteggere dal contagio i colleghi nelle varie sedi. Ma anche facendo attenzione che il lavoro agile non diventi una prigione.
Quanto deve saper ascoltare un manager della sostenibilità?
Molto. Moltissimo. E lo sostengo con convinzione, perché ascoltando s’impara. Dai colleghi di lavoro, ma anche dagli stakeholder del territorio.
Il percorso della sostenibilità va misurato?
Senz’altro sì. È la condizione sine qua non per migliorare. Sul “pilastro sociale” abbiamo in corso due importanti ricerche in collaborazione con gli Atenei. Per esempio, con l’Università di Milano Bicocca sull’organizzazione interna del lavoro, per capire gli effetti della binazionalità. E con l’Università di Torino proprio per monitorare nel tempo l’impatto sociale sui Comuni della valle di Susa dove ci sono i nostri cantieri.
Che cosa le sta insegnando questa esperienza professionale?
Che tutto quanto si deve fare in una azienda per la sostenibilità è costoso, pensiamo soltanto alle certificazioni o alle linee guida. Ma debbono essere interpretati come investimenti e non come costi.
Ha suggerimenti per le imprese, siano esse for profit o non profit?
Telt non fa business, anche se dal 2030 sarà impegnata a gestire la tratta internazionale che entrerà in servizio. Però mi sento di dire a tutte le imprese e ancora di più a quelle che stanno nascendo: la sostenibilità, oltre che doverosa, conviene. Perché rende più competitivi. Alla fine, farà la differenza. La strada per il rilancio dell’economia è questa, non ci sono alternative.
Pensa che ci possano essere terreni di collaborazione con l’ecosistema di Torino Social Impact?
Certo, è importante che vi sia un confronto aperto tra piccole e grandi realtà del territorio su impact e social economy. Creare un hub di confronto, per esempio nel quadro del Global Compact Italia, a livello subalpino sarebbe molto efficace. Mettersi in rete aiuta a migliorare. E diventa ancora più fondamentale adesso che bisogna uscire dalla crisi della pandemia. La sostenibilità, però, va raccontata con efficacia. Una comunicazione lineare, immediata, anche appassionata ma sempre motivata, è il miglior modo per essere ambasciatori concreti di quel “cambio di paradigma” che tutti auspichiamo.
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