Il presidente dei Commercialisti: «L’economia sociale e d’impatto può diventare un elemento importante e decisivo per cambiare la nostra professione» Che cosa hanno a che fare i commercialisti con la impact economy? E perché mai sono partner di Torino Social Impact? Insomma, che c’entrano? C’entrano eccome, a ragionare con Luca Asvisio, torinese, classe 1965, presidente […]
Il presidente dei Commercialisti: «L’economia sociale e d’impatto può diventare un elemento importante e decisivo per cambiare la nostra professione»
Che cosa hanno a che fare i commercialisti con la impact economy? E perché mai sono partner di Torino Social Impact? Insomma, che c’entrano? C’entrano eccome, a ragionare con Luca Asvisio, torinese, classe 1965, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Torino dal 2017. All’albo sono iscritti circa 3.700 professionisti (7.200 in Piemonte e 120mila in Italia). Consulente fiscale di numerose aziende manifatturiere del Nord-Ovest, Asvisio è anche presidente del Collegio sindacale della Fondazione Crt.
Dottor Asvisio, perché il vostro Ordine ha aderito a Torino Social Impact?
Già il mio predecessore e maestro, Aldo Milanese, vedeva bene tutto ciò che orientava al futuro. L’impact economy è uno di questi temi, è una di queste scelte. La piattaforma di TSI stimola imprese e professionisti a guardare con occhi diversi la creazione del valore e la gestione del profitto.
C’è sensibilità su questi temi nella sua professione?
Sì e in forma crescente. D’altronde, le ricadute sociali di una impresa vanno sempre meglio previste e non soltanto, frettolosamente, redigendo a fine anno un bilancio sociale. La situazione attuale di crisi, aggravata dalla pandemia, impone un cambio di rotta e noi siamo un po’ i catalizzatori delle richieste degli imprenditori.
Quindi avete anche una responsabilità nell’indirizzare verso alcune scelte.
Ci troviamo sempre in una posizione delicata, in una professione unica in Italia e diversa in altri Paesi. Siamo ormai consulenti a 360 gradi; talvolta veniamo ancora considerati “nemici” o dalle imprese – perché ci dicono che facciamo pagare loro troppe tasse – o dallo Stato, quando l’Agenzia delle Entrate presume che suggeriamo come svicolare da quanto dovuto.
L’impatto sociale potrebbe cambiare la vostra professione?
La professione cambierà, questo è certo. Intanto, perché se – come tutti auspicano – si va verso una semplificazione burocratica, saremo progressivamente meno presi da dichiarazioni dei redditi e altre formalità al momento ancora molto impegnative. E la professione potrebbe evolvere anche avendo più competenze sul tema della economia sociale: un aspetto, tra l’altro, che potrebbe garantire una nuova sostenibilità economica. Dobbiamo essere pronti e formarci.
Per quello che è il suo osservatorio, nella business community c’è attenzione alla economia di impatto?
Sì, anche se adesso si è sotto lo tsunami del Covid-19. Noi siamo un po’ degli “psicologi” degli imprenditori. Lo stiamo sperimentando in questi mesi difficilissimi in cui davvero stiamo svolgendo un ruolo sociale che va al di là degli ordinari obblighi professionali. Con una pagina di pubblicità sulla Stampa, abbiamo voluto ringraziare i nostri iscritti per questo impegno…
Ecco, che cosa sta succedendo con pandemia e lockdown sul vostro fronte?
Forse in pochi lo pensano. Ma abbiamo garantito il supporto alla macchina statale e all’economia del Paese, districandoci – così abbiamo scritto in quella pagina – tra una impetuosa legislazione e una burocrazia opprimente. Abbiamo raccolto dai nostri assistiti ansie e confidenze, profondendo consigli, incoraggiamenti legati ad ambiti non sempre strettamente professionali. Abbiamo interpretato, decifrato, comunicato e applicato normative torrenziali, a volte contraddittorie e sempre urgenti…
Insomma, siete sfiniti.
Il punto è che insieme a tutti i contribuenti, abbiamo dovuto e ancora dovremo far fronte comune in questo interminabile periodo, il più difficile vissuto nel nostro Paese dal dopoguerra a oggi…
Il tema del “fare rete” le è caro: nell’ottobre 2019 ha organizzato un Forum su questo tema al Lingotto. Perché
Intanto per ricordare Aldo Milanese, nostro presidente per lunghi anni, che è sempre stato promotore del “modello Torino”. Ovvero del dialogo e della interconnessione tra enti e istituzioni del territorio.
Avevate proposto un tavolo, com’è andata a finire?
Il Coronavirus ha bloccato un po’ tutto, ma certo torneremo a insistere sul punto.
Torino è tentata di gettare la spugna?
Sì, spesso l’idea di lasciare tutto s’insinua anche nei migliori imprenditori. Ma la nostra città ha bisogno di economia. E di una economia diversa. C’è desiderio di svoltare, anche se poi si cade nell’individualismo.
Insomma, lei pensa negativo sul futuro di questa città…
No, tutt’altro. Vedo saperi di eccellenza, una tecnologia straordinaria sviluppata da aziende che ci invidiano all’estero. Però dobbiamo diventare un territorio in grado di attrarre investimenti.
L’ecosistema di Torino Social Impact potrebbe aiutare?
Di sicuro. Se vengono stimolate e sostenute esperienza di punta, gli investitori arrivano. Ma è il contesto che deve anche aiutare, con soluzioni allettanti, semplificazione amministrativa, programmazione di lungo periodo. Bisogna far bene le cose e coltivare…
Il Rapporto Rota 2020 su Torino è stato intitolato “Ripartire”, un verbo positivo, uno sprone. Ma i dati non sono molto edificanti…
Lo so. A me hanno colpito i numeri sulla grande liquidità giacente. Significa che non si fanno più investimenti, che si rischia l’obsolescenza tecnologica degli impianti.
Si arriva poi sempre lì, dottor Asvisio: non c’è una classe dirigente all’altezza. Che ne pensa?
Penso che sia vero. E che ormai sia tardi per risalire la china. Abbiamo perso almeno una o due generazioni. Tuttavia, se desideriamo guardare lontano, anche per evitare che i nostri figli se ne vadano in altre città o all’estero, bisogna diventare attrattivi, creare occasioni e opportunità. Una volta c’erano i partiti e le parrocchie che svolgevano questa funzione di intermediazione e di selezione. Adesso non ci sono più…
E quindi?
Io ritengo che i corpi intermedi come gli ordini professionali abbiano di fronte una grande sfida d’impatto sociale. Certamente, nel nostro caso, è l’impegno per far conoscere, studiare e applicare i principi della impact economy. Ma anche di formare generazioni in grado di assumersi responsabilità e all’occorrenza anche di impegnarsi per il bene comune.
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