Oggi il meccanismo di franchising “alla McDonald’s” è cresciuto esponenzialmente ed è centrale per le strategie di scaling delle imprese. Il franchising è sostanzialmente una attività di collaborazione fra imprenditori di produzione e distribuzione di servizi/beni e può essere utile per chi vuole avviare un'impresa avendo meno rischi e affiliandosi ad un marchio già “registrato”.
Cosa potrebbe succedere se si applicasse il meccanismo del franchising per scalare l’impatto sociale degli attori interessati alla generazione di valore?
Come sempre, la Stanford Social Innovation Review in un articolo interessantissimo, affronta il tema del franchising per l’impatto sociale.
In effetti il franchising può svolgere il ruolo di effetto moltiplicatore per il business di una impresa e allo stesso tempo può aiutare la scalabilità dell’impatto sociale. Nell’articolo del SSIR sono state analizzate numerose esperienze di franchising sociale grazie alla collaborazione con l’University of New Hampshire’s Social Sector Franchise Initiative.
Il tema della scalabilità è oggi molto centrale nello sviluppo di attori che lavorano sull’impatto sociale. Tutte le imprese sociali, le b corp o altre forme giuridiche ibride, hanno bisogno, una volta consolidato il loro modello di business, di scalare la loro azione, la loro proposta e il loro impatto sociale. Il franchising, il riconoscimento di un logo ben definito, di una strategia di marketing trasparente, semplice e attrattiva può essere la chiave di volta per espandere la sfera di influenza di un attore. Il franchising contribuisce ad accrescere il capitale economico e sociale di un’attività imprenditoriale: aumenta le competenze, la conoscenza del mercato e permette di diventare attrattivi verso nuovi consumatori. Come sottolinea l’articolo di SSIR, le forme moderne di questa attività possono essere ritrovate negli anni 50 con KFC e McDonalds, franchising dominanti oggi. Il settore è cresciuto enormemente con un incredibile impatto economico; ha raggiunto più di 800.000 locations negli Stati Uniti e sostenuto 8.9 milioni di posti di lavoro, secondo l’ International Franchise Association (IFA). L’idea di applicare questo meccanismo al settore sociale non è nuovo ma rimane ancora poco esplorato.
Un esempio di social franchising è Jibu, che lavora per l’accesso ad acqua potabile nei mercati emergenti. Questa impresa familiare, con un investimento di 2500-4500 dollari ha creato un sistema di franchising per la purificazione dell’acqua e altri equipaggiamenti (braning, training…). Il franchising di Jibu, ad esempio, vende acqua potabile in contenitori riciclabili. Il consumatore paga solo per l’acqua e ha anche il contenitore riciclato in omaggio. In questo modo Jibu è riuscita a definire al meglio il suo modello di business ed è cresciuta scalando il suo impatto e permettendo ad altri di affiliarsi al suo marchio.
Le sfide, però, non sono poche. Strutturare un’attività di franchising, infatti è molto oneroso, in termini di risorse, logistica e competenze. Sicuramente, però, sul lungo periodo, sia a livello economico che sociale, investire in attività di franchising può essere una strategia innovativa e molto interessante di scalabilità. Può essere, infatti, una buona strategia per minimizzare il rischio di nuova impresa. Bisogna avere pazienza, aspettare il momento giusto ma, quando si parla di impatto sociale inteso come cambiamento positivo per la società, il peggior nemico è la fretta e la voglia di risultati immediati nel breve periodo.
Per approfondire il tema o leggere di altre esperienze su social franchising: https://ssir.org/articles/entry/the_promise_of_social_sector_franchising