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Parla il Presidente dei Giovani Imprenditori di Torino. L’ecosistema subalpino un riferimento? «Sì, se tutti scegliamo la corresponsabilità civica, specie sotto lo scacco del Coronavirus»
Alberto Lazzaro, classe 1982, è presidente del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione industriale di Torino dal maggio 2019. Ingegnere biomedico, laureato presso il Politecnico di Torino, è amministratore delegato della Wisildent, società presente su tutta la filiera produttiva odontoiatrica e che ha lanciato le cliniche dentali My Dental Family.
Ingegner Lazzaro, che tempi difficili… Come vi state muovendo nel lockdown per il Coronavirus?
È un tempo di grande responsabilità. Per i cittadini, per le imprese e per i lavoratori: dobbiamo restare uniti perché questa terribile situazione, non voluta da nessuno, si possa risolvere nel miglior modo possibile. Ma insieme.
Avete qualche iniziativa specifica in cantiere?
Sì, la stiamo mettendo a punto per essere pronti in brevissimo tempo. Si tratta di una piattaforma di confronto online che abbiamo chiamato “Competenze dal salotto”, cioè da casa. Non sarà un webinar in senso stretto, ma una iniziativa partecipata, in cui chiameremo un esperto a confrontarsi con altri esperti su temi essenziali per l’imprenditoria. Inizieremo da “le persone giuste al posto giusto”. La partecipazione sarà libera, non solo per le nostre aziende. E continueremo anche dopo l’emergenza. Tra l’altro affronteremo anche temi legati al sociale.
Ecco, presidente, giustappunto: perché i Giovani imprenditori vedono di buon occhio l’Impact economy e l’Impact investing?
Perché sono nelle nostre corde. Rimandano a una responsabilità civica che tutti debbono sentire come diritto e come dovere. Il profitto non è malvagio se interpretato fin dall’avvio dell’impresa come strumento per essere sostenibili: che significa sì attenzione all’ambiente e alla comunità in cui si trova e vive l’azienda, ma vuol dire anche una gestione efficiente, manageriale, innovativa, in grado – proprio perché redditizia – di garantire occupazione e di investire sullo sviluppo.
Avete lanciato una sorta di manifesto intitolato “Robusta Taurinorum”. Che cos’è e come lo declinerete?
È uno studio approfondito, ma agile, che chiama tutti a sentirsi abili nel partecipare. Lo abbiamo presentato lo scorso maggio, individuando 23 parole chiave per il rilancio del territorio e del Paese: da ambiente a scuola, da classe dirigente a capitale umano a welfare. Sono snodi cruciali, su cui non bisogna accanirsi con le clave delle parole ostili spesso usate sui social. Ci lavoreremo sopra con attenzione nei prossimi anni. A maggior ragione adesso che si dovrà innescare la ripresa dopo una crisi inedita e inaspettata. Queste key-words, nelle nostre intenzioni, debbono diventare piazze e crocevia generativi di spunti e soluzioni su cui far convergere le migliori idee e le migliori risorse. Una proposta unitiva, non divisiva. Per questo, da dicembre, abbiamo avviato gli incontri di «RoadToFuturabile». Li riattiveremo una volta usciti dall’emergenza.
Una delle vostre 23 parole chiave è il “social impact”: perché la città deve investire su questo fronte?
È nella tradizione di Torino la solidarietà, già a partire dai santi sociali. Ma occorre innovare, per saper rispondere ai bisogni dei tempi. E sotto la Mole, come si dice, c’è l’ecosistema giusto per poterci candidare a punto di riferimento sia nazionale sia internazionale in questo senso.
Avete strettamente legato “social impact” ad altri due punti: “ruolo civico” e “sostenibilità”. Perché?
Un imprenditore deve svolgere un ruolo appassionato, da sognatore che sa guardare lontano con responsabilità, puntando all’innovazione. Pensando però alle ricadute civiche sul territorio. La relazioni di una impresa con la Pubblica amministrazione, con i sindacati, con la società civile, con i consumatori, sono importantissime per crescere. In questo senso un imprenditore può essere positivamente “contagioso” nella comunità. La “sostenibilità”, poi, riguarda sia l’attenzione all’ambiente sia la virtuosa gestione economica: ma è una sensibilità che tutti, non solo le imprese, debbono praticare.
Da un po’ di tempo insistete sul concetto di «Futurabile» per mettere al bando gli alibi. Come mai?
Se nella attività imprenditoriale non abbiamo una visione, uno sguardo lungo, rinunciamo al nostro ruolo, facendo solo un piccolo cabotaggio, probabilmente egoistico, che non consente di prendere il largo. Questo significa essere “futurabili”: coltivare un sogno, sano, offrendogli gambe robuste per camminare e per correre. Vuol dire pensare ai nostri figli e ai nostri nipoti, cercando di non scaricare sulle loro spalle le nostre miopie. Basta con gli alibi e l’indifferenza: sentiamoci tutti abili e capaci di contribuire con i nostri diversi talenti a far crescere in corresponsabilità la nostra società civile. Questo vale ancora più adesso che siamo sotto scacco per l’emergenza sanitaria…
Guardare lontano significa pensare al futuro: Torino riesce a farlo?
La mia impressione è che abbiamo un po’ tutti come il freno tirato. È la paura di raggiungere gli obiettivi: come quando una squadra di calcio non riesce a fare goal perché le tremano le gambe. Io penso che Torino si sia fatta condizionare da questo tremore. C’è bisogno di coesione: dobbiamo guardare al bene comune, non al piccolo orto delle convenienze politiche. Smettiamola, insomma, con le beghe di campanile e giochiamo insieme sul serio. È una responsabilità di tutti, non solo della cosiddetta classe dirigente. Torino Social Impact è una buona palestra dove allenarsi a farlo insieme.
Lavorate molto con le scuole e puntate a far visitare le imprese: con quale obiettivo?
Perché bisogna “contaminare” i saperi e creare ponti tra istruzione e occupazione. Per questo noi abbiamo avviato la seconda edizione del «Craft Valley Tour» in collaborazione con la Camera di commercio di Torino, l’Ufficio Scolastico Regionale e Intesa San Paolo. Si tratta di cinque percorsi interattivi per raccontare il tessuto manifatturiero torinese ai professionisti del mondo della scuola e dell’informazione. E poi, poco prima di Natale, abbiamo avviato «Impresa elementare: piccoli imprenditori crescono», un nuovo progetto – in 24 games – per sviluppare nei bambini dai 6 agli 11 anni quelle competenze che si riveleranno utili e necessarie in futuro nel mondo del lavoro. Un modo per testimoniare che non deve mai mancare la voglia di imparare. Torino ha grandissime potenzialità: perché tenerle nascoste?
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